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From the Pharmakon to Technodiversity. A Brief Genealogy of a Conceptual
Heterogenesis
Dal pharmakon alla tecnodiversità. Breve genealogia di una eterogenesi
concettuale
Paolo Vignola
University of the Arts of Ecuador
Universidad de las Artes del Ecuador
ISSN: 0123-5095 E-ISSN: 2389-9441
Cuestiones de Filosofía Vol. 10 - N° 35. Julio - diciembre, año 2024, pp. 17-37
Artículo de Reexión
Resumen
La intención de este breve ensayo es
proporcionar una serie de coordenadas
conceptuales que puedan delinear los
contornos del legado losóco de
la farmacología de Bernard Stiegler,
indicando así un lugar de trabajo de la
losofía de la técnica que, al tiempo que
se abre a nuevas preguntas, adquiere su
sentido teórico y político. Para describir
la perspectiva stiegleriana, su producción
teórica y su maduración a lo largo de casi
tres décadas, incluso en sentido cronológico
y genealógico, el método asumido es el de
una doble comparación conceptual, por un
lado, entre un predecesor, a saber, Jacques
Derrida, y Stiegler, a través de la cual
se analizará la variación conceptual del
pharmakon del primer al segundo autor,
así como los elementos de desencuentro
entre ambos, con especial referencia a
la retención terciaria y al alejamiento
stiegleriano del marco deconstructivo;
por otro, entre Stiegler y uno de sus
continuadores, Yuk Hui, donde el enfoque
se desplazará hacia la farmacología de lo
digital y, por último, hacia el concepto de
tecnodiversidad elaborado inicialmente
por el lósofo chino.
Palabras clave: pharmakon, diérance, retención terciaria, deconstrucción,
tecnodiversidad.
Recepción / Received: 16 de enero del 2024
Evaluado / Evaluated: 13 de febrero del 2024
Aprobado / Accepted: 17 de mayo del 2024
Historia del artículo / Article Info:
Correspondencia / Correspondence: Paolo Vignola.
Universidad de las Artes del Ecuador, Diez de agosto 601,
Guayaquil, Ecuador. (Código Postal: 090312). Correo-e: paolo.
vignola@uartes.edu.ec
Citación / Citation: Vignola, P. (2024). Dal pharmakon alla
tecnodiversità. Breve genealogia di una eterogenesi concettuale.
Cuestiones de Filosofía, 10 (35), 17-37.
https://doi.org/10.19053/uptc.01235095.v10.n35.2024.17089
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Abstract
The paper aims to provide a set of conceptual coordinates that can delineate
the contours of the philosophical legacy of Bernard Stieglers pharmacology,
thus indicating a working place for the philosophy of technology which, while
opening up to new questions, also acquires its theoretical and political meaning.
In order to describe the Stieglerian perspective, its theoretical production and its
maturation over almost three decades, even in a chronological and genealogical
sense, the method adopted is that of a double conceptual comparison, on
the one hand, between a predecessor, namely Jacques Derrida, and Stiegler,
through which the conceptual variation of the pharmakon from the rst to
the second author will be analysed, as well as the elements of disagreement
between both of them, with particular reference to tertiary retention and the
Stieglerian delinking from the deconstructive framework; on the other hand,
between Stiegler and one of his continuators, Yuk Hui, where the focus will
shift towards the pharmacology of the digital and, nally, towards the concept
of technodiversity initially developed by the Chinese philosopher.
Keywords: pharmakon, diérance, tertiary retention, deconstruction,
technodiversity.
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eterogenesi concettuale. Cuestiones de Filosofía, 10 (35), 17-37.
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Introduzione
La colpa di Epimeteo (2023), primo tomo della serie La tecnica e il tempo,
pur rappresentando un’apertura teoretica inedita nel campo della losoa
della tecnica, è il frutto di un complesso intreccio di prospettive eterogenee
che avevano occupato la scena losoca nei decenni precedenti, come quella
derridiana in merito alla traccia, al gramma e all’archiscrittura o, ancora
prima, quella heideggeriana concernente la techne in generale. In tal senso,
l’originalità del punto di vista sulla tecnica di Bernard Stiegler risiede nella
combinazione di tre operazioni: spingere no alle estreme conseguenze i
lavori paleoantropologici di André Leroi-Gourhan e quelli tecnologici di
Gilbert Simondon; rimodulare in parte il senso della decostruzione inaugurata
dal suo maestro Derrida; decostruire l’analitica esistenziale di Heidegger,
mostrando come la temporalità autentica sia in realtà sempre il risultato di un
rapporto con la tecnica sotto forma di memoria esteriorizzata.
Rispetto a Derrida, i cui “concetti” di diérance, di traccia e di grammatologia
vengono applicati nel testo in modo sistematico ma anche eterodosso,
occorre dire che la scena originaria del divorzio tra episteme e techne come
punto d’avvio di La colpa di Epimeteo proviene dalla descrizione delle
poste in gioco del Fedro segnalate nel suo La farmacia di Platone (Derrida,
1978). Se, per Stiegler, “la losoa ha rimosso la tecnica come oggetto di
pensiero”, e se “la tecnica è l’impensato” della losoa, è perché sin dal
dialogo di Platone la techne viene separata dall’episteme al ne di screditare
la strumentazione sostica del logos (2023, p. 45). Conoscendo la fase
successiva della losoa stiegleriana, ossia quella “farmacologica”
1
che
pensa la tecnica come un pharmakon dal potere al tempo stesso costituente
e destituente nei confronti dell’essere umano, colpisce l’assenza del termine
pharmakon nell’intera trattazione presente in La colpa di Epimeteo, quando
rappresenta invece il cuore decostruttivo di La farmacia di Platone. Ora,
al ne di preparare il terreno per comprendere il senso dell’appropriazione
dierenziante del pharmakon derridiano da parte di Stiegler, si propone una
rapida ricognizione di La colpa di Epimeteo.
1 Per una ricostruzione delle tappe della losoa stiegleriana (tecno-logica, farmacologica e
negantropologica), cfr. Buseyne, Tsagdis and Willemarck (2023); Ross (2018).
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La diérance tra uomo e tecnica
Per dare conto della rimozione della tecnica da parte della losoa, Stiegler
combina la separazione platonica di techne ed episteme con la visione
strumentale della techne propiziata da Aristotele (Physica II, 192b-193a),
in cui la tecnica viene ridotta a semplice mezzo in vista di ni prestabiliti
in quanto sprovvista di una causalità interna, che invece risiederebbe
nell’individuo che esegue e non nell’opera realizzata. Tale impostazione
strumentale della tecnica è sopravvissuta, pur attraverso un’ampia
gamma di variazioni, no alla losoa contemporanea, trovando però in
Heidegger il critico più profondo. In La questione della tecnica, il losofo
tedesco aerma infatti che pensare la tecnica sotto la categoria del mezzo
impedisce di coglierne l’essenza, che risiede invece nel “disvelamento”. Per
Heidegger, la tecnica in quanto poiesis è una forma della produzione che
fa passare l’Essere dal suo quotidiano nascondimento allo stato manifesto,
dunque è anche una modalità del conoscere e dell’accedere alla verità come
aletheia (1976, p. 10). Il fatto che nel corso della storia della metasica
occidentale si sia realizzata una concezione della tecnica come espressione
di una “ragione calcolante in vista del dominio e del possesso della natura”,
per cui essa diviene Gestell, è per Heidegger un motivo suciente per
ripensarne l’essenza evadendo le categorie metasiche occidentali,
da lui reputate incapaci di andare oltre una “concezione strumentale e
antropologica della tecnica” (p. 5).
Per proseguire l’operazione di destrumentalizzazione della tecnica, Simondon
è sicuramente l’autore che può venire incontro a Stiegler, dal momento che,
per quest’ultimo, una delle tesi fondanti di Del modo di esistenza degli
oggetti tecnici (Simondon, 2021) aerma che occorre “comprendere la
genesi degli oggetti tecnici e delle loro funzioni indipendentemente dalle
funzioni umane che [ne] stabiliscono il comportamento d’uso” (Stiegler,
2023, p. 115). Tuttavia, se Simondon diventerà sempre più importante nelle
fasi successive del pensiero stiegleriano, l’autore che più di ogni altro ore
a Stiegler un punto di vista radicalmente alternativo sulla tecnica è André
Leroi-Gourhan. Le analisi paleoantropologiche di quest’ultimo sul rapporto
tra zooantropologia e sviluppo tecnologico e, dunque, su corticalizzazione
ed evoluzione dell’industria litica anteriori alla comparsa di Homo sapiens
quali fattori congiunti di costituzione di una memoria propriamente umana,
conducono Stiegler a individuare nella tecnica un campo di studi non riducibile
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né alla sica meccanica, né alla biologia, né tantomeno all’antropologia.
Il gesto e la parola, così come Ambiente e tecniche (Leroi-Gourhan, 1977;
1994), indicano la necessità di individuare negli oggetti tecnici uno stato
della materia altro rispetto a quello inorganico, oggetto delle scienze siche,
e a quello organizzato, oggetto delle scienze della vita, ossia uno stato
inorganico organizzato:
La materia inerte ma organizzata che è l’oggetto tecnico evolve nella sua
organizzazione: non è quindi più semplicemente una materia inerte, eppure
non è nemmeno una materia vivente. È una materia inorganica organizzata
che si trasforma nel tempo, proprio come la materia vivente si trasforma
nella sua interazione con l’ambiente (Stiegler, 2023, p. 95).
Ciò signica che tale stato della materia, invece di essere pensato ilemorcamente
come qualcosa che riceve in modo passivo la forza organizzatrice dell’uomo,
rende conto di una tendenza tecnica universale “attraverso la selezione di forme
in una relazione tra l’essere umano vivente e la materia che egli organizza e
attraverso la quale egli stesso si organizza, laddove nessuno dei due termini
della relazione possiede il segreto dell’altro” (p. 96).
Quel che descrive Leroi-Gourhan, e che permette di “pensare in un unico
movimento (l’‘origine’ della) tecnica e (l’‘origine’ dell’) uomo” (p. 175), è il
rapporto tra l’evoluzione corticale a partire dallo Zinjantropo e l’interazione
tecnica con la selce, no al termine di questa evoluzione che si con il
Neantropo, in cui, se a continuare a evolvere è solo più l’industria litica, tale
evoluzione rappresenta il volano del sociale e delle sue trasformazioni. Ora,
quello che avviene durante questo processo di corticalizzazione è niente di
meno che “l’invenzione dell’uomo”, da intendersi nell’ambiguità del doppio
genitivo: “Leroi-Gourhan dice in eetti che è lo strumento, cioè la techne,
che inventa l’uomo, e non l’uomo che inventa la tecnica. O ancora: l’uomo
inventa stesso nella tecnica inventando lo strumento –‘esteriorizzandosi’
tecno-logicamente” (p. 175).
Riprendendo la prospettiva generale derridiana di smontaggio delle
opposizioni dicotomiche, Stiegler pensa il rapporto tra la materia inorganica
organizzata –la tecnica, che viene chiamata il “cosa”– e l’uomo –che sarebbe
il “chi”– come una relazione di reciproca costituzione secondo la logica della
diérance: “Chi non è nulla senza cosa –e viceversa. La diérance, essendo
al di qua e al di là del chi e del cosa, li pone insieme, dando l’illusione di
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un’opposizione” (p. 184), quando invece la comparsa dell’uomo coincide
con la comparsa della tecnica. La conseguenza è paradossale, nella misura in
cui, se il chi è inventato dal cosa, l’interiorità che lo denisce precisamente
come un chi (memoria, riessività, anticipazione, ecc.) può costituirsi solo
dopo il processo di esteriorizzazione di contenuti cognitivi sul supporto
materiale, sul cosa: “L’interno è inventato da questo movimento: non può
quindi precederlo. Interno ed esterno si costituiscono quindi in un movimento
che li inventa entrambi” (p. 184).
In tal senso, la selce rappresenta il primo supporto di memoria e di
registrazione dell’esperienza, congurandosi così come condizione materiale
di possibilità per la costituzione del passato e per l’anticipazione, quindi, per
la costituzione del futuro. Questo è anche il senso del titolo La tecnica e il
tempo, dove la prima è condizione per l’apertura della temporalità umana,
ma è anche quello del sottotitolo, relativo al mito di Prometeo ed Epimeteo,
dato che l’esteriorizzazione tecnica sulla materia inorganica è il paradosso
di un ritardo (dell’interno che ancora non è denito), rappresentato da
Epimeteo, che è al tempo stesso un anticipo (sull’esterno), la cui gura è
quella di Prometeo. Nel mito, secondo la versione riportata nel Protagora,
la dimenticanza di Epimeteo nel fornire qualità agli umani, che è una colpa
e un ritardo, anticipa la colpa di Prometeo, quella di rimediare a tale difetto
con il furto del fuoco, ossia l’invenzione della tecnica. Il mito serve a Stiegler
da supporto per ragurare anche l’impossibilità di stabilire un’origine
piena dell’uomo, quando invece l’opzione di una tecnicità originaria che
accompagna l’evoluzione mostra un difetto d’origine costitutivo: “All’origine
ci sarà stato solo il difetto, che è appunto il difetto d’origine o l’origine come
difetto” (p. 228).
Ma ancora più importante per quello che seguirà nel presente saggio, è che
per Stiegler, che qui radicalizza la prospettiva di Leroi-Gourhan, attraverso
l’accoppiamento riessivo si genera una forma di memoria articiale, dunque
propriamente logenetica, semplicemente epigenetica. Coniando un
neologismo, Stiegler pensa a una memoria epilogenetica, nel senso della
sedimentazione di epigenesi successive, conservate dal supporto inorganico,
che essa rende trasmissibile logeneticamente, attraverso le generazioni,
sebbene al di fuori del programma genetico. Se l’esteriorizzazione tecnica
è “la continuazione della vita con altri mezzi rispetto alla vita”, essa, in
quanto vettore dell’epilogenesi, produce non di meno “una rottura con la
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vita pura, nel senso che nella vita pura l’epigenesi è precisamente ciò che
non si conserva” (p. 183). Il fatto che per Derrida la diérance sia la “storia
della vita in generale”, spinge Stiegler a pensare che una rottura in questa
storia sia necessariamente una rottura nella diérance che consisterebbe nel
“passaggio da una diérance genetica a una diérance non genetica, una
physis dierita’” (p. 216). Rispetto alla declinazione derridiana, quella
di Stiegler è una diérance che si concretizza nel processo co-evolutivo
dell’uomo e della tecnica.
Da sottolineare l’idea per cui l’esteriorizzazione tecnica, per quanto rappresenti
una rottura con la vita puramente biologica, non implica una rottura con la natura
nel senso di un’emancipazione da quest’ultima, ma un’inedita organizzazione
della vita –la sua continuazione con altri mezzi– che inaugura il processo di
organizzazione dell’inorganico, organizzandosi a sua volta attraverso di esso.
In questo senso, dicile sarebbe trovare nella prospettiva stiegleriana una
continuità con l’antropologia losoca negativa, in particolare quella di Gehlen.
A tal proposito, il concetto di “difetto d’origine” non si riferisce a una mancanza
originaria nei termini di una carenza organica, per cui la funzione essenziale della
tecnica risiederebbe in una compensazione mediante un esonero dall’ambiente.
Piuttosto che emancipare dialetticamente l’uomo dalla Natura, la relazione
epilogenetica del chi e del cosa inserisce ancor più il primo nelle maglie della
seconda. Il difetto d’origine è allora alla base di una genealogia dierenziale,
in cui ánthropos e téchne assumono i loro connotati ponendosi in diérance
reciproca. Inoltre, ritornando alla via tracciata da Heidegger, si può aermare che
quella di Gehlen sia una denizione antropologica e strumentale della tecnica,
mentre l’intenzione di Stiegler è quella di posizionarsi al di là di tale prospettiva.
Interessante è invece il fatto che, nella cosiddetta terza fase del suo pensiero,
Stiegler getti le basi per estendere la sua farmacologia a quella che denisce una
negantropologia. Quest’ ultima è da intendersi sia come una sorta di disciplina
applicata, consacrata allo sviluppo di saperi negantropici, cioè nalizzati
a contrarrestare i tassi di entropia (ad ogni livello: sico, informazionale,
sociale) prodotta dall’attività antropica su tutte le scale della realtà umana,
sia nei termini di un questionamento radicale degli stessi fondamenti
dell’antropologia losoca, alla luce del processo di esosomatizzazione che
permetterebbe il passaggio dalla sfera dell’entropia e dell’anti-entropia, o
della neghentropia, propriamente biologica, alla sua forma umana, ossia
articiale, tecnica. È così che alla selezione naturale si somma la selezione
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articiale, e perciò “il passaggio dall’organico all’organologico riposiziona
il gioco dell’entropia e della neghentropia” (Stiegler, 2019, p. 52). Da qui i
signicanti di antropia, anti-antropia e negantropia. Se, con Schrödinger, la
vita è lotta costante contro l’entropia, e dunque neghentropia, quando la vita
nell’uomo si fa tecnica, non più semplicemente organica ma organologica, e
prosegue perciò “con altri mezzi rispetto alla vita”, tale lotta si sdoppia: “La
tecnica è un’accentuazione della neghentropia, è un fattore di dierenziazione
accresciuta (…) È però anche, allo stesso tempo, un’accelerazione
dell’entropia” (p. 52). Oggi, in particolare, “la standardizzazione industriale
sembra condurre l’Antropocene contemporaneo alla possibilità di una
distruzione della vita come orire e proliferare delle dierenze –in quanto
biodiversità, sociodiversità (“diversità culturale”), e psicodiversità” (p. 52).
Stiegler insiste sulla comprensione dell’entropia in quanto fattore di riduzione
delle diversità e, di converso, sulla neghentropia in quanto generatrice di
quest’ultime. Il tema delle varie forme di diversità verrà arontato nell’ultimo
paragrafo di questo testo, dove ci si concentrerà sul concetto di tecnodiversità
così come è sviluppato tra Stiegler e Yuk Hui. Ora è il momento di analizzare
il concetto che, a posteriori, gura come il grande assente di La colpa di
Epimeteo, ossia il pharmakon.
In cammino verso il pharmakon
L’ultima parte di La colpa di Epimeteo si concentra nel decostruire l’analitica
esistenziale di Heidegger attraverso un concetto inedito, quello di ricordo
terziario –in seguito diventerà la ritenzione terziaria– che Stiegler elabora
a partire da Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo di
Husserl (2016). Come noto, in questa analisi Husserl dierenzia ricordo
primario (ossia la ritenzione del presente che accompagna la sua percezione)
e secondario (la ritenzione del passato che lo riproduce nel presente), ai quali
oppone invece la “coscienza d’immagine”, ossia la memoria esterna alla
coscienza, esteriorizzata su supporti materiali. Il motivo dell’opposizione è
che, mentre la memoria del ricordo secondario si costituisce sempre a partire
da un’impressione originaria della coscienza nel suo presente, la memoria
materiale esteriorizzata, quella che Stiegler chiama il “ricordo terziario”,
sarebbe sprovvista di tale impressione. Stiegler mostra invece come il ricordo
terziario incida nella formazione delle altre due forme di ritenzione, primaria
e secondaria, al punto che divenga impossibile opporle, precisamente sempre
nei termini del chi e del cosa. E questo gesto decostruttivo si rivela strategico
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proprio per decostruire a sua volta la temporalità autentica del Dasein.
La posta in gioco è fare della materia inorganica organizzata, il cosa, il
fondamento della temporalità autentica, ponendo il ricordo terziario al cuore
dell’analitica esistenziale. In quest’ottica, se il Dasein è gettato nel mondo,
tale mondo gli preesiste, è il suo “già-qui”, come “storicità mondana”
(Weltgeschichtlichkeit), sotto forma di linguaggi, vestigia, documenti e più
in generale “epilogenesi”. Il Dasein, il chi, sarebbe sempre anticipato dal
cosa attraverso la fatticità del ricordo terziario, ed esso può fare proprie,
adottandole, le ritenzioni che eredita dal passato –un passato che non ha
vissuto– solo perché inscritte nello spazio materiale e tecnico del mondo.
Agli occhi di Stiegler, sebbene in Il concetto di tempo fossero presenti tutti
gli elementi per un’analisi della co-costituzione temporale del chi e del
cosa, la rinuncia da parte di Heidegger, verso la ne di Essere e tempo, ad
approfondire il valore ontologico del ricordo terziario per l’accesso alla
Weltgeschichtlichkeit rappresenta l’ennesima forma di rimozione della
tecnica e, parallelamente, del ritardo epimeteico poiché la sua temporalità
è unicamente orientata all’anticipazione prometeica dell’essere-per-la-ne.
Il libro si avvia poi alla conclusione, anche se, trattandosi del primo tomo
di una serie, piuttosto che chiudere il discorso apre la fase di elaborazione
del concetto di ritenzione terziaria, che nei libri successivi nirà per indicare
la forma esteriorizzata e pubblica della memoria. La maturazione di questo
concetto permetterà a Stiegler di sviluppare “una politica della memoria,
che non può che essere un pensiero della tecnica” (Stiegler, 2023, p. 312)
e che in seguito coinciderà con la promozione concettuale del pharmakon e
l’ideazione della farmacologia.
Come anticipato, colpisce il fatto che, sebbene si nutra anche delle analisi
derridiane del Fedro presenti in La farmacia di Platone, in La colpa di Epimeteo
Stiegler, in futuro riconosciuto per la sua prospettiva farmacologica, non menzioni
mai il pharmakon –e questa mancanza si estende anche agli altri due tomi di La
tecnica e il tempo. Una prima ragione risiede nello statuto del pharmakon, che
in Stiegler sarà concettuale, dunque non squisitamente decostruttivo, nonché
politicamente operativo, in quanto immerso nella storia sociale per costruirla
e sovradeterminarla attraverso il processo di grammatizzazione. In Derrida,
invece, il pharmakon della scrittura in quanto indecidibile tra il rimedio e
il veleno per l’anamnesi nonché condizione di possibilità di quest’ultima,
“supplemento d’origine” che apre la questione dell’archi-scrittura, è per
queste stesse caratteristiche l’agente decostruttore del Fedro e, per eetto
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domino, dell’intera opera platonica, in quanto rivelatore della metasica della
presenza che attraversa tutte le coppie oppositive del sistema. Nel quadro della
decostruzione, il pharmakon è innanzitutto una parola sintomatica dell’impianto
platonico, e la scrittura è un pharmakon sia per Platone che per Stiegler, mentre
per Derrida, nel suo statuto più generale, il pharmakon è solo un signicante
che presta il nome alla diérance, uno tra i vari:
Se il pharmakon è ambivalente lo è per il fatto di costituire il luogo dove
si oppongono gli opposti, il movimento ed il gioco che li mette in rapporto
l’uno con l’altro, che li inverte e li fa passare l’uno nell’altro (anima/corpo,
bene/male, dentro/fuori, memoria/oblio, parola/scrittura, ecc.). E’ a partire
da questo gioco o da questo movimento che gli opposti o i dierenti sono
fermati da Platone. Il pharmakon è il movimento, il luogo e il gioco, (la
produzione de) la dierenza. È la diérance della dierenza. Tiene in riserva,
nella sua ombra e nella sua veglia indecise, i dierenti e le controversie che
la discriminazione vi iscriverà (Derrida, 1978, p. 110).
Vi è poi una seconda possibile ragione, proveniente dalla stessa elaborazione
stiegleriana. Quando Stiegler comincia a usare il concetto di ipomnesi e poi
quello di pharmakon, da un lato li fa sostanzialmente coincidere con la ritenzione
terziaria, ossia con l’oggetto del relativo diérend tra quest’ultimo e Derrida,
mentre dall’altro lato li innesta, precisamente quali altri nomi della ritenzione
terziaria, nel processo di grammatizzazione
2
in quanto “storia tecnica della
memoria”. Riguardo al relativo dissidio tra Stiegler e Derrida, come riporta il
primo, si è trattato innanzitutto di uno scambio nell’agosto del 2004, dunque
pochi mesi prima della scomparsa del secondo. Nel saggio in cui menziona
l’incontro, Stiegler ore la sua versione, che si prova qui a sintetizzare
3
.
In La voce e il fenomeno, Derrida intenderebbe “ridurre a nulla” la dierenza
tra ricordo primario e secondario, in quanto tra l’impressione-ritenzione del
primario e la riproduzione di quello secondario non vi sarebbe “la dierenza,
che Husserl vorrebbe radicale”, ossia “tra la percezione e la non-percezione,
ma tra due modicazioni della non-percezione” (1968, p. 101). Ciò che Stiegler
contesta è il fatto che, per quanto non sia radicale, una dierenza esiste, non nei
termini dell’opposizione bensì della composizione: “La ritenzione primaria
2 Rifacendosi alle analisi e all’omonimo concetto di Sylvan Auroux (1993), Stiegler pensa la
grammatizzazione come l’insieme delle azioni di discretizzazione e archiviazione dei ussi cognitivi,
emotivi ed esperienziali che accompagna l’umanità in quanto fattore principale di costruzione e, al
tempo stesso, controllo della psiche e del sociale.
3 La questione si trova espressa anche in Stiegler (2000, p. 199).
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si compone costantemente con la ritenzione secondaria, cioè nella misura in
cui la percezione è sempre proiettata da, su e nell’immaginazione” (Stiegler,
2006, p. 109). E questa dierenza come “trama del tempo”, che distingue
e compone al tempo stesso ritenzione e riproduzione (e la conseguente
protensione), è possibile grazie alla ritenzione terziaria, ossia la memoria
esteriorizzata la cui traccia sarebbe quella “diérance della diérance
(2023, p. 217) come rottura con la vita pura, e attraverso cui occorrerebbe
fare la storia della memoria tecnica come storia del supplemento. Secondo
l’allievo, quello che Derrida non intende riconoscere è la necessità materiale
della ritenzione terziaria, ovvero il fatto che un elemento protesico, la tecnica
come memoria epilogenetica, nisca per essere la condizione di possibilità
di un movimento, quello dell’archi-scrittura o del gramma in generale, che
dovrebbe invece precedere ogni sua concretizzazione antropologica sotto
forma di esteriorizzazione materiale (Stiegler, 2006).
La dierenza tra Stiegler e Derrida, che è anche e precisamente la diversa
diérance in gioco (Vitale, 2020), risiede nel fatto che, se per il primo l’intera
trama delle ritenzioni del tempo interno alla coscienza dipende in ultima
analisi dalla protesicità della ritenzione terziaria, la traccia dierenziale
derridiana, che è scrittura come supplenza della presenza ma non è tecnica
nel senso di materia organizzata, è già eettiva nella ritenzione primaria,
impedendo così la possibilità di una pura presenza a della coscienza nel
presente e non aspettando la riproduzione di questa stessa traccia nella
ritenzione secondaria, tanto meno la sua oggettivazione materialmente
esterna alla coscienza, ossia la ritenzione terziaria. Non è dunque, come in
Stiegler, la tecnica nella sua materialità alla base della coscienza interna del
tempo, bensì la scrittura, nel senso della traccia in generale come rapporto
al non presente. Ciò poiché l’archi-scrittura di Derrida, come movimento
“quasi trascendentale” della traccia che lega e dierenzia il vivo e il non vivo,
il medesimo e l’altro, comprende ogni materializzazione tecnica poiché la
precede storicamente e logicamente, mentre “non avverrà mai che la nozione
di tecnica illumini quella di scrittura” (Derrida, 1998, p. 26). A questo
punto risulta evidente come la dierenza fondamentale tra la prospettiva
derridiana e quella stiegleriana risieda nello statuto losoco della tecnica
(Benninghton, 1996; Roberts, 2005) e, di conseguenza, nel diverso grado di
adesione al compito decostruttivo.
Inoltre, va tenuto conto del prendere sempre più piede, nei libri successivi ai
28 Cuestiones de Filosofía No. 35 - Vol. 10 Año 2024 ISSN 0123-5095 Tunja-Colombia
tre volumi di La tecnica e il tempo, della teoria del processo d’individuazione
psichica e collettiva di Simondon (2020). Individuazioni che l’autore lega
a quella che egli stesso denisce un’organologia generale, ossia il sistema
processuale di relazioni, e più precisamente di coindividuazioni, tra i tre tipi
di organi che deniscono la realtà sociale: psicosiologici (individuazione
psichica), articiali (individuazione tecnica) e sociali (individuazione
collettiva). L’elemento di novità rispetto a Simondon risiede nel fatto che,
in quanto organo articiale, il pharmakon della ritenzione terziaria è l’anello
di congiunzione tra gli altri due, e in tal senso è sempre e sistematicamente
una questione economica e politica –e ciò per Stiegler è vero sin dal Fedro:
Quel che descrive Socrate nel Fedro, ossia che l’esteriorizzazione della
memoria è una perdita di memoria e di sapere, è ciò di cui facciamo
quotidianamente esperienza oggi, in tutti gli aspetti delle nostre esistenze (…)
nella nostra epoca (…) vediamo che i saperi sono distrutti, e attraverso essi la
libido, da un’esteriorizzazione che permette un controllo e un’intensicazione
dei processi pulsionali a detrimento dell’economia libidinale, vale a dire
dell’anamnesi: il capitalismo consumistico, mimetico, gregario e pulsionale
riattiva le tecniche sostiche a un grado incomparabilmente più potente e
pericoloso, quello di un’autentica grammatizzazione dello stesso desiderio
(Stiegler, 2015, p. 58).
Stiegler non segue dunque più Derrida nella decostruzione della metasica
della presenza. Come aermerà in Dans la disruption, “si tratta di leggere
Derrida al di fuori del quadro della decostruzione come da egli stesso
denita” (2016, p. 239), e ciò consiste nel trasformare gli elementi derridiani
del gramma, della traccia, del pharmakon e della diérance in componenti
funzionali alla costituzione di quella politica della memoria auspicata sin da
La colpa di Epimeteo: “Di fronte a ciò, non basta decostruire la metasica:
bisogna combattere questa ideologia e sviluppare una nuova critica
dell’economia politica” (2014, p. 182). In quest’ottica, si può aermare che
Stiegler divenga post-decostruzionista: non decostruisce la decostruzione,
ma nemmeno ricostruisce quello che Derrida ha decostruito, bensì usa in
parte e strategicamente la metodologia e i termini derridiani per trasformarli
in concetti e articolarli con altri.
29
Vignola, P. (2024). Dal pharmakon alla tecnodiversità. Breve genealogia di una
eterogenesi concettuale. Cuestiones de Filosofía, 10 (35), 17-37.
https://doi.org/10.19053/uptc.01235095.v10.n35.2024.17089
Dalla farmacologia del digitale alla tecnodiversità
La miseria simbolica, pubblicato poco prima del dilagare dei socialnetworks,
usa l’allegoria del formicaio come immagine in grado di evidenziare
l’automatizzazione delle relazioni sociali all’interno di una società in
corso di digitalizzazione, il cui eetto collaterale è una sorta di miseria
non solo materiale, bensì anche aettiva e simbolica: gli individui tendono
“a produrre, come le formiche, non più dei simboli, ma feromoni digitali
(2021, p. 114). Per Stiegler, in termini simondoniani, questa miseria è il
risultato di una degradazione dell’individuazione psichica no alla perdita
di legami con l’individuazione collettiva e, di conseguenza, al rarefarsi della
costituzione di signicati, saperi, linguaggi e istituzioni –al cortocircuito
della “transindividuazione”. Da ricordare che, per Simondon, l’io, l’individuo
psichico, è un processo continuo di individuazione che si intreccia senza
soluzione di continuità con il noi del processo d’individuazione collettiva,
a sua volta formato dalle individuazioni degli io che lo compongono. Ne
consegue che:
il mal-essere che colpisce l’epoca attuale è caratterizzato dal fatto che io
posso sempre meno (…) se non addirittura non posso aatto proiettarmi in
un noi (…). Il noi è gravemente malato: la subordinazione dei dispositivi
ritenzionali, senza cui non c’è individuazione psichica e collettiva, a una
criteriologia totalmente immanente al mercato, e ai suoi imperativi divenuti
egemonici, rende praticamente impossibile il processo di proiezione,
attraverso cui un noi si costituisce individuandosi (p. 98).
Ciò che spinge Stiegler a dierenziarsi da Simondon è la natura tecno-logica
del milieu in cui si genera la transindividuazione, poiché quest’ultima,
per il losofo del pharmakon, non può darsi senza tecniche o tecnologie
nalizzate ad essa, ossia dei pharmaka (2014, p. 62). La transindividuazione
è sempre cioè “sotto condizione farmacologica”, e dunque soggetta a essere
limitata o corto-circuitata dalle stesse tecnologie che ne sono le condizioni di
possibilità, in quanto il calcolo algoritmico dei comportamenti individuali e
delle relazioni sociali riduce le singolarità individuali e collettive nella loro
azione transindividuale di formazione e trasformazione dei saperi condivisi.
Se La miseria simbolica mostra l’aspetto tossico, destituente, dei dispositvi
tecnologi contemporanei, non indica ancora il lato farmacologico di
quest’ultima. Tuttavia, allestisce già tutti i concetti necessari per la svolta,
30 Cuestiones de Filosofía No. 35 - Vol. 10 Año 2024 ISSN 0123-5095 Tunja-Colombia
appunto, farmacologica dei testi successivi. Tra questi ultimi, Prendersi cura è
tra i più chiari nel mostrare sia le poste in gioco “psicopolitiche” del pharmakon,
sia la postura etico politica della farmacologia positiva, ossia di una terapeutica
sociale in grado di contrarrestare gli eetti tossici della grammatizzazione.
L’eetto di quest’ultima consiste nell’orientare i comportamenti presenti e
futuri dei gruppi umani, determinando così anche le condizioni di possibilità o di
impossibilità delle individuazioni psichiche e collettive: farmacologicamente,
essa può funzionare come supporto dei processi d’individuazione, oppure
come un elemento inibente o tossico per questi stessi processi, che genera
cioè una perdita sistematica di sapere, ossia una proletarizzazione come
esteriorizzazione dei contenuti di memoria senza ritorno, vale a dire senza
reinteriorizzazione. In tal senso, “la questione non è, in n dei conti, quella
di opporsi alla grammatizzazione, (...) bensì di comprendere la misura delle
nuove questioni farmacologiche che essa pone” (p. 182). Stiegler auspica
perciò una “terapeutica”, al contempo politica, sociale ed economica, capace
di “prendersi cura” dei pharmaka (degli oggetti tecnici), ossia di adottarli al
ne di promuovere la transindividuazione, a sua volta foriera di un’intelligenza
collettiva adeguata alla nuova epoca tecnologica: “Vivere intelligentemente in
società è prendersi cura del sociale in modo tale che il sociale stesso sia anche
una cura oerta all’individuo in quanto individuo. Ciò signica articolare il
sociale e l’individuo e superare la loro contraddizione apparente attraverso
una politica dei pharmaka (p. 91). Prendersi cura dei pharmaka signica
essenzialmente sviluppare i saperi necessari per adottare le innovazioni
tecnologiche nelle diverse sfere della vita sociale: culturale, economica, politica,
estetica, istituzionale, scientica e pedagogica. Tuttavia, è proprio il sapere
nelle sue diverse forme –saper vivere, saper fare, saper concettualizzare– “che
le industrie di programmi distruggono mediante le psicotecnologie” (p. 141),
generando un eetto di “proletarizzazione generalizzata”, ossia appunto di
perdita dei saperi in tutti gli strati della popolazione. Qui si è vicini a toccare
il fondo della critica farmacologica, o farmacologia negativa.
L’ultimo stadio della grammatizzazione è quello che Antoinette Rouvroy e
Thomas Berns (2012) hanno denito nei termini di una governamentalità
algoritmica all’interno di una società sempre più automatica, in cui essa si
è fatta così pervasiva da apparire come una forma di potere totalizzante,
in quanto può discretizzare qualsiasi aspetto della vita degli individui, e
annichilente poiché tale governamentalità, anche se non agisce in primo
luogo mediante le forme repressive dei totalitarismi novecenteschi, annichila
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Vignola, P. (2024). Dal pharmakon alla tecnodiversità. Breve genealogia di una
eterogenesi concettuale. Cuestiones de Filosofía, 10 (35), 17-37.
https://doi.org/10.19053/uptc.01235095.v10.n35.2024.17089
i processi d’individuazione psichica e collettiva, no a trasformarli in una
dis-individuazione o dividuazione. Più in particolare, come espresso in La
società automatica I, la “grammatizzazione delle relazioni” prodotta dal
social networking attraverso la sottomissione delle caratteristiche e degli
aetti singolari degli utenti alla loro calcolabilità algoritmica conduce alla
tendenziale disintegrazione del sociale, sia come economia libidinale delle
relazioni, sia come socializzazione dei saperi (Stiegler, 2019, pp. 137-141).
Tuttavia, la prospettiva farmacologica non si arresta alla diagnosi dei social
network e delle piattaforme digitali attuali, bensì auspica la sperimentazione
di altre reti sociali possibili, basate su un’altra concezione del digitale, a sua
volta ispirata al processo d’individuazione psichica e collettiva. È ciò che
indicano Yuk Hui e Harry Halpin in un saggio che prende le mosse proprio
dalla farmacologia di Stiegler per addentrarsi nella tecnologia algoritmica di
Facebook, la quale, basandosi sui gra psicosociali di Moreno, risulta essere
agli occhi dei due studiosi la quintessenza dell’individualismo neoliberale.
Invece però di arrestarsi alla critica, o farmacologia negativa, di Facebook,
i due studiosi e programmatori hanno cercato di concepire un’alternativa
concreta che, anziché copiarne le caratteristiche, partisse direttamente “dal
collettivo per ridisegnare la relazione tra l’individuo e il collettivo” (Halpin
and Hui, 2012, p. 115). Nel loro modello di rete sociale, evitando di basarsi
sull’identità, la possibilità delle relazioni sociali si fonderebbe sul disegno di
un progetto comune: “Un progetto è anche una proiezione, cioè l’anticipazione
di un futuro comune dell’individuazione collettiva dei gruppi” (p. 115).
Stiegler ha tradotto la pista indicata da Halpin e Hui nell’idea del web
ermeneutico, da intendersi come una nuova architettura del web, nel senso
di un’inedita congurazione della tracciabilità digitale, atta a incentivare
lo sviluppo di nuove forme attenzionali e di peer communities, dunque
appunto di nuovi processi d’individuazione psichica e collettiva. Mediante
l’invenzione, lo sviluppo e la sperimentazione di nuove architetture
algoritmiche dedicate alla partecipazione e contribuzione collettiva nella
ricerca, nella didattica, così come nella partecipazione sociale, civile e
politica, l’obiettivo farmacologico è restituire alla “ritenzione terziaria” il suo
“spessore polisemico e plurivoco” (Stiegler, 2019, p. 260) valorizzando le
controversie, i conitti d’interpretazione e la trasversalità della progettazione.
Diversi sono i dispositivi e applicazioni alla cui progettazione ha collaborato
lo stesso Stiegler, convinto della necessità di inventare strumenti digitali
32 Cuestiones de Filosofía No. 35 - Vol. 10 Año 2024 ISSN 0123-5095 Tunja-Colombia
ani ai principi della farmacologia. È però precisamente in questo periodo
di invenzione tecnologica che Stiegler elabora un’ulteriore variazione nella
sua prospettiva, che implica perciò anche una nuova invenzione concettuale
di fronte ai traguardi dell’automazione e all’automatizzazione sociale.
Così, se in Prendersi cura, la battaglia per l’intelligenza veniva condotta
sulla base dell’alternativa kantiana tra minorità e maggiorità, in Qu’appelle-
t-on panser?, ultima serie pubblicata da Stiegler, e in L’assoluta necessità
si mostra il conitto delle facoltà tra l’intelletto e la ragione riprendendo e
rielaborando così la distinzione operata da Kant: l’intelletto come facoltà della
conoscenza, implementato dall’intelligenza articiale, diviene totalmente
automatizzato, mentre “la ragione si trova sostituita da una potenza analitica
puramente calcolatrice che è un’ipertroa dell’intelletto (...) che pone le
condizioni per una concezione e gestione intrinsecamente e funzionalmente
anti-democratiche dello spazio e del tempo comuni” (Stiegler e Collettivo
Internation, 2020, p. 109). La soluzione a tale problema, per Stiegler, è
allora incaricare la ragione di creare le condizioni farmacologiche per una
disautomatizzazione della società.
Come anticipato, a denire l’ultima fase del pensiero stiegleriano è innanzitutto
la contrapposizione e coimplicazione di entropia e neghentropia, che ha come
correlato la questione della riduzione o viceversa della proliferazione di diversità,
dalla biodiversità alla sociodiversità, dalla noodiversità alla tecnodiversità –ed è su
questi ultimi due concetti, antitetici al calcolo e all’automatizzazione della società,
che si concentra uno degli ultimi testi pubblicati da Stiegler. La noodiversità è
pensata dal losofo francese come il processo di dierenziazione noetica indotto
dalla produzione di sapere e dai suoi scambi in un ambiente che è sempre locale
e tecnico. In tal senso, essa rende conto delle singolarità espressive, simboliche
ed etiche degli individui che si sviluppano in località e culture diverse, attraverso
tecnologie diverse. Se oggi “sentiamo e vediamo che è in corso un'eliminazione
sistemica della diversità, che ha a che fare, da un lato, con la tecnologia e,
dall’altro, con la calcolabilità” (Stiegler, 2020, p. 72), tale eliminazione è duplice:
da un lato, la tecnologia occidentale basata sul calcolo, che funzionerebbe come
un intelletto automatizzato, riduce drasticamente sia la biodiversità ambientale,
sia la sociodiversità e la noodiversità; dall’altro, ciò è possibile nella misura in
cui questa stessa tecnologia è diventata egemonica attraverso quella che Yuk Hui
denisce la “cultura monotecnologica” (Hui, 2020, p. 12), i cui eetti consistono,
a loro volta, nella tendenziale riduzione della tecnodiversità.
33
Vignola, P. (2024). Dal pharmakon alla tecnodiversità. Breve genealogia di una
eterogenesi concettuale. Cuestiones de Filosofía, 10 (35), 17-37.
https://doi.org/10.19053/uptc.01235095.v10.n35.2024.17089
Riprendendo il suo già menzionato lavoro di critica di Facebook, è possibile
inquadrarlo, ante litteram, in questa promozione ontologica e diagnosi
sociale della diversità tecnologica. Se la diagnosi sociale coincide con quella
sopra riportata di Stiegler, la promozione ontologica rinvia al concetto più
generale di cosmotecnica. Per il losofo cinese, infatti, dietro ogni sistema
tecnico, così come dietro a un’invenzione o una rivoluzione tecnologica,
si può trovare la matrice di una cosmologia, specica della cultura da cui
emerge, che sviluppa una diversa tecnicità, o appunto una tecnodiversità,
implicante relazioni speciche e singolari tra esseri umani, materiali, territori
e il cosmo in generale (2021). Storicamente, tale tecnodiversità sarebbe stata
progressivamente annichilita dall’egemonia dell’episteme occidentale, dalle
colonizzazioni della Modernità e, oggi, dal capitalismo computazionale di
stampo cognitivista.
Il dialogo critico aperto da Stiegler con il suo allievo è appena schematizzato
e si limita a richiedere un chiarimento da parte del secondo sulla questione
relativa alla tendenza tecnica universale, vale a dire la nozione leroi-gourhiana
che il primo pone proprio a fondamento del suo punto di vista generale
(Stiegler, 2020, pp. 75-77). Stiegler accoglie perciò parzialmente il concetto di
tecnodiversità sviluppato dal suo allievo, intendendolo essenzialmente come
un modo di porre in questione l’egemonia entropica –in quanto riduttrice
di dierenze– della calcolabilità universale che prescrive e pro-gramma i
rapporti tra il sistema tecnico e i sistemi sociali e biologici: “la questione della
tecnodiversità sorge con l’obiettivo di controeettuare lo stato di fatto che
aerma una singola tendenza” e, perciò, essa mira a garantire “le condizioni
per una variabilità in grado di ricostituire la noodiversità” (p. 76).
In conclusione, il concetto di tecnodiversità, che rimane comunque ancora da
esplorare nelle sue problematicità –tanto in Yuk Hui quanto in Stiegler– per
un verso, quello più vicino alla lettura stiegleriana, si inserisce nel quadro
della rottura nella diérance, annunciata già in La colpa di Epimeteo, e
indica un compito strategico per continuare a sviluppare una politica della
memoria nel XXI secolo; per l’altro, ossia sul versante “cosmotecnico”,
esprime invece l’apertura della farmacologia a una tappa non pensata
previamente, quella di un rovesciamento farmacologico decoloniale della
stessa tecnologia, come suggerisce Yuk Hui: “Il modo in cui consideriamo
la tecnologia come una mera forza produttiva e un meccanismo capitalistico
per aumentare il plusvalore ci impedisce di vedere in essa il potenziale
34 Cuestiones de Filosofía No. 35 - Vol. 10 Año 2024 ISSN 0123-5095 Tunja-Colombia
decolonizzante e la necessità di sviluppare e preservare una tecnodiversità”
(2020, p. 13). É probabilmente tra queste due piste che si giocherà il futuro
della farmacologia, dunque anche la sua diérance.
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